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Curriculum Vitae: Quando il Curriculum Perfetto Non Basta

Nel mondo della selezione del personale, il curriculum vitae continua a rappresentare il primo biglietto da visita per presentarsi a un’azienda. È una fotografia della carriera: titoli, esperienze, competenze.
Ma sempre più spesso ci si accorge che un documento impeccabile non garantisce affatto il successo in un nuovo ruolo.

Il mondo sta cambiando a una velocità mai vista prima. Le aspettative delle aziende si stanno evolvendo. Anche le persone sono cambiate.
Oggi non basta più raccontare cosa si è fatto in un passato ormai remoto: bisogna dimostrare cosa si è in grado di fare adesso e, soprattutto, domani.

Ecco perché, anche di fronte a curricula perfetti, molte aziende si ritrovano con assunzioni che non funzionano.

L’illusione del curriculum perfetto

Il curriculum vitae è uno strumento certamente utile, ma profondamente limitato. Perché:

  • – può essere “abbellito” o “enfatizzato”, risultando quasi mai veritiero;
  • – elenca esperienze e titoli, ma non esprime competenze reali;
  • – descrive il passato, ma rivela poco o nulla sul potenziale futuro.

Un testo scritto bene non garantisce che una persona sappia guidare un team, gestire pressioni, far crescere un’azienda o costruire relazioni solide — specialmente in uno scenario che cambierà ancora più rapidamente nei prossimi anni.

Il curriculum perfetto può impressionare.
La persona giusta genera valore e porta l’azienda nel futuro.

Per questo oggi nel recruiting si sta passando da un approccio “descrittivo” (tipico della selezione tradizionale) a un approccio predittivo: capire non solo cosa una persona ha saputo fare, ma cosa potrà fare domani in un contesto nuovo e in un mondo in evoluzione.

Le aziende hanno bisogno di risultati, non di illusioni

Un head hunter esperto lo sa bene: il vero valore di una persona non è scritto nei bullet point del CV.
Anzi, il CV è spesso una comoda scorciatoia per molti manager coinvolti nei processi di selezione. È facile da leggere, facile da spiegare e — soprattutto — facile da difendere.

Qui emerge un fenomeno molto diffuso: il “CYA hiring” (Cover Your Ass).
Si manifesta quando i selezionatori interni scelgono il candidato più “perfetto” sulla carta non perché sia il migliore, ma perché è il più giustificabile.
Se qualcosa va storto, potranno sempre dire:

“Ho scelto il profilo più aderente ai requisiti. Era quello più oggettivo.”

Valutare le Human Skills richiede invece coraggio, competenza e responsabilità: è meno codificabile, più complesso, più rischioso.
E molti preferiscono evitare quel rischio, rifugiandosi in decisioni apparentemente oggettive che proteggono loro stessi, ma non fanno l’interesse dell’azienda.

Il risultato?
Si assumono profili perfetti “sulla carta”, ma incapaci di generare valore nel contesto reale.
E allo stesso tempo si scartano talenti che avrebbero potuto dare molto di più — semplicemente perché non rientravano perfettamente nella griglia rassicurante dei requisiti formali.

Ecco alcune domande a cui un curriculum difficilmente potrà rispondere

  • – Questa persona sa lavorare sotto pressione?
  • – È capace di motivare e guidare un team verso obiettivi condivisi?
  • – Sa gestire cambiamenti di settore o di contesto?
  • – Ha valori, visione e cultura allineati a quelli dell’azienda?

Le risposte a queste domande emergono solo attraverso un processo di selezione profondo, rigoroso e umano — non attraverso un documento né tramite un algoritmo.

Il ruolo strategico dell’Head Hunter

Un “vero” head hunter non si limita a trovare candidati. Analizza i contesti, le culture organizzative, le dinamiche di mercato. E, soprattutto, valuta la sostanza: le capacità reali delle persone.

Il suo compito è distinguere chi si è limitato a eseguire da chi ha saputo generare valore, trasformando il proprio contributo in un impatto concreto sui risultati.

Per farlo, non basta leggere un curriculum: servono metodo, esperienza, intuito e la capacità di interpretare comportamenti, attitudini e motivazioni profonde.

Ecco perché l’head hunter è un vero occhio terzo: indipendente, lucido, non condizionato dalle dinamiche interne.
Un errore di recruiting — soprattutto nei ruoli strategici — costa molto più di un processo di selezione accurato: costa tempo, energie e opportunità che non tornano più.

Un errore capitale

Quante volte sentiamo dire dai clienti:
“Questo CV (non questa persona) non va bene, mancano dei requisiti. Non vale la pena incontrarlo.”
E, magari, pochi mesi dopo:
“Questa persona si è rivelata un disastro…eppure il CV era perfetto!”

In questo paradosso si nasconde uno degli errori più frequenti del management.

Le aziende attribuiscono troppo peso ai requisiti tecnici — facili da verificare — e troppo poco alle Human Skills, quelle che non si leggono su un CV e che nessun algoritmo sa valutare davvero.

Parliamo di competenze come:

  • – flessibilità e adattamento
  • – resilienza
  • – gestione del cambiamento
  • – visione
  • – leadership
  • – capacità decisionali
  • – problem solving

Le competenze tecniche sono semplici da controllare; qui l’AI può essere di grande aiuto.
Ma le Human Skills richiedono specialisti capaci di guardare oltre i titoli.
Noi li chiamiamo Human Skills Fans: professionisti come noi, che sanno riconoscere l’essere umano prima ancora delle competenze formali.

Conclusione

Il curriculum vitae resta uno strumento necessario, ma non sufficiente.
Il mercato del lavoro oggi richiede un salto di qualità: vedere oltre le parole, oltre i titoli, oltre le esperienze.

Perché, alla fine, la differenza la fanno sempre le persone.

Il curriculum perfetto può impressionare.
La persona giusta genera valore e porta l’azienda nel futuro.

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In Trevisearch non cerchiamo solo profili: troviamo chi può fare la differenza.